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Diario di un Tecnico IT: Un laptop per un laptop

Nel mondo bizzarro dei tecnici, arriva sempre il fatidico momento in cui bisogna prendere una decisione degna di un eroe di un film d'azione. Ebbene, quel giorno ha bussato alla mia porta con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.

Era una giornata che prometteva banalità, finché non squilla il telefono con l'urgenza di un allarme antincendio. È il professore, disperato: "Il mio laptop ha deciso di andare in pensione anticipata e non ne vuole sapere di tornare al lavoro. Puoi dargli una scossa di vita?". Appuntamento preso, il paziente arriva nel mio laboratorio, un luogo dove i laptop vanno per rinascere o per concedersi un eterno riposo.

Questo laptop era un modello da passerella, sottile come una supermodella, un trofeo dell'era Covid destinato ai gladiatori della didattica a distanza. Ne avevo uno simile, già caduto in battaglia, custodito nel mio mausoleo dei "caduti in missione". Entrambi soffrivano dello stesso malanno: si illuminavano di speranza con il led di alimentazione, ma poi niente. Il cuore non batteva e il cervello non si avviava. E le solite medicine? Inefficaci, come un cerotto su una frattura.

Due cadaveri, lo stesso mistero. Cosa fare? E soprattutto, chi avrebbe vinto il premio "Frankenstein tecnologico dell'anno"?

Dopo un'analisi degna di Sherlock Holmes, decido: il caduto che avevo diventerà il mio assistente. Inizio un'operazione chirurgica, con un tavolo per gli organi del donatore e un altro per il paziente. Pezzo dopo pezzo, con la precisione di un orologiaio svizzero, assemblo il puzzle. Ogni componente è un tassello che porta alla vita: la scheda madre, il cuore pulsante; le memorie, i ricordi; l'SSD, l'anima veloce.

Finalmente, il miracolo: il laptop si sveglia, pronto a correre verso nuove avventure. Quasi mezza giornata di lavoro, ma la soddisfazione? Immensa. Non solo ho resuscitato un guerriero caduto, ma l'ho fatto rivivere in un altro corpo.

E come in quelle pubblicità dove tutto finisce con un brindisi, anch'io ho celebrato l'impresa. Ma anziché alzare un bicchiere di amaro, ho optato per una birra spumeggiante, condividendo l'epopea in un pub, tra amici. Perché alla fine, ogni tecnico ha il suo momento di gloria, e il mio sapeva di luppolo e vittoria.


Conclusione - Ovvero, perché mi sono cimentato in questa epopea tecnologica.

Perché raccontare questa avventura? Perché, ammettiamolo, un'occhiata da dilettante avrebbe relegato quel laptop a mero soprammobile nel mio museo dei ferri vecchi. Invece, una testarda illuminazione mi ha assalito, con la forza di un'idea che non conosce il significato di "impossibile".

Non ce ne rendiamo conto, ma tra pandemie e piani di ripresa nazionali, abbiamo generato un'autentica giungla di rottami elettronici. Nel mio angolo di mondo, però, mi erigo a paladino dei circuiti perduti, impegnandomi a soffiare nuova vita in questi anziani guerrieri digitali.

In questa missione, il mio piccolo laboratorio si trasforma in una sala d'operazioni, dove i PC vengono non solo riparati ma veramente risuscitati, pronti a tornare in battaglia. È una battaglia piccola, lo so, ma ogni scheda madre salvata è un piccolo passo verso la riduzione dell'impronta elettronica che marciamo su questo pianeta.

E quindi, alla fine di tutto, perché ho intrapreso questa avventura? Perché, in un mondo che troppo spesso predilige il nuovo all'usato, il brillante al funzionale, io scelgo di dare una seconda chance a questi nobili cavalieri dell'era digitale. E, magari, raccontando queste storie, posso ispirare altri a fare lo stesso. Perché, in fondo, ogni laptop merita la sua seconda alba, e ogni tecnico il suo momento da mago dei circuiti.






ultimo aggiornamento  il 15/01/2024
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